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Il team building di Living

Progettare insieme, collaborare meglio, rinforzare la fiducia tra gli operatori: questi gli obiettivi degli incontri promossi da Living Better e rivolti alla rete territoriale.

Tra le azioni del progetto Living Better, largo spazio è stato riservato alla cura e al rinforzo delle reti di co-progettazione territoriale. L’attività che maggiormente si è focalizzata su questi obiettivi è stata un percorso di Team Building, co-condotto da due facilitatrici psicodrammatiche: Alessandra Bruno e Sophie Brunodet.
L’attività si è snodata in incontri a cadenza mensile, da ottobre 2021 a giugno 2022, che hanno coinvolto i rappresentanti della rete di partenariato del progetto, permettendo una reciproca conoscenza e soprattutto creando uno spazio nel quale potersi confrontare sulle difficoltà e sulle risorse dei rispettivi ambiti d’intervento.

Queste le parole della facilitatrice Sophie Brunodet, che a marzo del 2022 condivideva un bilancio a metà circa dell’intero percorso:

 

Il percorso di Team Building Territoriale è arrivato a metà strada, i primi quattro incontri sono passati, anzi, parrebbe volati. Era il 20 ottobre quando in sedici ci siamo trovati nella ex chiesa di Santa Marta, in centro a Ivrea, pronti a qualcosa di nuovo. Ben nove enti del territorio sono presenti e le due facilitatrici psicodrammatiche Alessandra Bruno ed io, Sophie Brunodet, sono pronte ad accoglierli in un cerchio di sedie. È palpabile l’emozione di trovarsi finalmente in presenza. Siamo tutti con la mascherina, a turno chi parla se la scosta e poi subito la riposiziona a dovere, sopra al naso, ma nulla frena la voglia di parlare, di essere ascoltati, di condividere.

Il primo incontro è tutto dedicato alla formazione del gruppo stesso. In qualche modo, è il più importante di tutti perché è quello che crea l’atmosfera e stabilisce il clima che avremo. Prima di questo momento le persone erano colleghi o semplici concittadini, magari neanche mai incontrati. A partire da oggi, tutti assieme saranno un gruppo che si ritroverà per altre 7 volte per dedicare del tempo a sé stesso. In effetti, nel raccogliere le aspettative iniziali dei presenti, in molti hanno espresso chiaramente la necessità di conoscere finalmente i colleghi che ai i fini del progetto, e nel quotidiano lavoro di rete sul territorio eporediese, conoscono poco o nulla, a volte solo come voce al telefono e nome in fondo a una mail, o tuttalpiù come viso su uno schermo. Emerge anche un bisogno trasversale di condividere le emozioni che vivono nello svolgere il loro lavoro quotidiano. Tanta è la solitudine dell’operatore sociale e non è facile destreggiare la frustrazione, la rabbia, l’insicurezza che accompagnano il loro operato.

Nelle diverse mattinate abbiamo proposto dialoghi a coppie, restituzioni in plenaria e attività sceniche di vario tipo, attraverso cui vengono fatti emergere episodi professionali, vissuti e impressioni personali che trovano spazio per essere espressi e guardati. Il ricordo di un intervento fatto dall’unità di strada per i senza dimora, quello di un colloquio con una famiglia o quello di una comunicazione difficile da fare agli ospiti di una struttura sono diventati l’occasione per riflettere su quali emozioni si attivano incontrando i beneficiari delle loro azioni professionali, quali personalità attivano maggiormente le difese personali, quali rischiano di passare più inosservati e cosa lasciano dopo di loro questi incontri. È un’esperienza intensa concentrarsi e mettere insieme un racconto di sé da presentare ad altri presenti lì apposta per riceverlo. Lo è anche ascoltare, perché tutto questo avviene in un gruppo di pari, dove il portato di uno è unico e personale, ma allo stesso parla a tutte perché potenzialmente è esperienza di ciascuno. 

È emozionante sentire i racconti e mi ha meravigliata la generosità, l’attenzione, la lucidità delle osservazioni di coloro che ascoltano. Incontro dopo incontro le persone sono contente di tornare e, nonostante tra volta e volta passi circa un mese, portano sempre con sé qualche frammento che gli è rimasto dalla volta prima o pensiero che si è attivato nel frattempo. 

Sono bastati 4 incontri da tre ore per rendere un insieme di persone un gruppo accogliente e disponibile a lavorare su di sé. Operatori e operatrici del terzo settore eporediese si stanno mettendo in gioco, si stanno conoscendo meglio e stanno interrogandosi sul loro modo di porsi e di agire in favore della popolazione vulnerabile del territorio. Vogliono farlo bene e vogliono stare bene nel farlo. Restano ancora 4 incontri, che con queste premesse, attendo con impazienza che arrivino.